FILOSOFI E FILOSOFIE
Mensile di filosofia a cura di Roberto Vescarelli
N°2, IV-2006
CONTENUTI:
GIUSEPPE PEANO
LA LOGICA MODALE DI C.I. LEWIS
NATURA DEGLI ASSIOMI DELLA GEOMETRIA E DELLA MATEMATICA
WALTER BURLEY
INTRODUZIONE ALLA LOGICA ENUNCIATIVA
FILOSOFIA E SPERANZA di Diego Fusaro
MESSAGGI E INFORMAZIONE di Oscar Bettelli
IL SOCIALISMO PRIMA DI MARX
GIUSEPPE PEANO
di Roberto Vescarelli
Giuseppe Peano mostrò che si può far derivare l'intera teoria dei numeri naturali da tre idee fondamentali e da cinque enunciati (oltre a quelli della logica pura).
Le tre idee sono: zero, numero, successore.
I cinque enunciati sono:
0 appartiene a N
x appartiene a N -> Sx appartiene a N
Sx=Sy -> x=y
(x) non (Sx=0)
(P) (P0 & (Px -> PSx)) -> (x)Px
Il sistema di Peano permette di ricostruire la logica dell'aritmetica con l'utilizzo di tre soli termini indefiniti: zero, numero e successore. Che tali termini siano "indefiniti" permette, per esempio, di evitare la polemica circa l'esatta natura dei numeri naturali, ma comporta anche, come vedremo, degli inconvenienti.
Che i tre termini siano indefiniti non significa che il loro significato sia "vago". A dire il vero i termini indefiniti di una teoria logica hanno il grado di vaghezza di significato che compete alle variabili x, y, ... in analisi: si stipula che qualsiasi cosa soddisfi gli assiomi che contengono i termini in questione, ossia che li renda veri, è una cosa che può essere denotazione del termine indefinito.
Naturalmente il sistema di Peano è pensato affinché O e Sx siano facilmente interpretati come "zero" e "x+1".
Il primo enunciato di Peano significa che qualcosa che chiamiamo "zero" è un numero. Il secondo enunciato significa che, se qualche cosa è un numero, anche il suo successore lo è. Il terzo asserisce che se due numeri hanno lo stesso successore, allora sono identici. Il quarto che 0 non è il successore di alcun numero.
Veniamo infine al quinto assioma. Prima di tutto notiamo che esso è formulato in una logica del secondo ordine (perché abbisogna della quantificazione su proprietà) ed è conosciuto come PRINCIPIO DI INDUZIONE MATEMATICA: per ogni proprietà P, succede che, se 0 gode di P e se inoltre succede che quando un numero naturale gode di P allora anche il suo successore ne gode, allora P è una proprietà che appartiene a tutti i numeri naturali.
Ovviamente la validità di questo schema di assiomi ci permette di formulare dimostrazioni dette per induzione.
Le dottrine di Peano vennero esposte ad un congresso internazionale di Logici a Parigi, nel 1900, e colpirono molto Russell, che in quel periodo stava cercando qualche strumento per far progredire la sua filosofia della matematica. Il risultato di poter dedurre l'intera aritmetica dalla logica e da cinque assiomi supplementari affascinò subito Russell, che si recò da Peano pregandolo di rifornirlo dei suoi scritti.
Russell riconobbe apertamente che le teorie di Peano e la sua notazione logica ebbero un importante influsso su di lui.
Ma fu Russell stesso a muovere una delle principali obiezioni all'opera di Peano. Egli osservò che il mantenere indefinito il termine 0 e il termine numero, ad esempio, potrebbe dar luogo alla seguente interpretazione:
0 sta per "cento"
S0 sta per "centouno"
SS0 sta per "centodue"
....
in questo caso tutti gli assiomi sarebbero soddisfatti dall'insieme (100, 101, 102, ...), ma ciò che a noi interessava era che fossero soddisfatti in maniera "privilegiata" dai numeri naturali, non da qualsiasi insieme isomorfo all'insieme dei naturali ...
Si potrebbe facilmente ovviare al problema ponendo che 0 sia l'esensione di una proprietà contraddittoria, ad esempio "essere diverso da se stesso". Ma ciò significherebbe essersi già messi sulla strada del dibattito circa la natura del numero ...
C.I. LEWIS
di Roberto Vescarelli
In questo articolo dico qualcosa a proposito degli albori della logica modale, un tipo di logica che si è sviluppata grandissimamente negli ultimi decenni e che serve ai linguisti, ai filosofi, ai matematici, e naturalmente ai logici.
La logica modale esiste dai tempi di Aristotele. Se ne occuparono i Megarici e gli Stoici, fornendo definizioni dei concetti base, quelli di "possibile", "impossibile", "necessario", "contingente" molto distanti dall'intuizione odierna così come la possiamo derivare dal linguaggio corrente (ma anche lontane da intuizioni di tipo facilmente formalizzabili in termini matematici). I dialettici medievali furono i degni prosecutori degli antichi.
Fatto sta che fino al XX secolo mancarono gli strumenti per affrontare in maniera formale e precisa le questioni modali. All'inizio del XX secolo, viceversa, la logica matematica aveva già sviluppato la maggior parte dei suoi strumenti concettuali, e poteva essere per la prima volta applicata allo studio dei problemi modali.
La logica modale contemporanea nacque nel 1912 da un articolo del grande logico C.I. Lewis. La tradizione che fa capo a Lewis si chiama tradizione "sintattica" poiché le nozioni semantiche del sistema sono lasciate indefinite o meglio sono lasciate all'"intuizione" del lettore. Si suppone che il lettore abbia intuizioni di cosa significhi il termine "necessario" che siano simili a quella di Lewis. Le logiche modali più recenti si basano su semantiche formalizzate.
L'idea da cui Lewis procedette, così insegna la storia, era che i connettivi della logica matematica non fossero adeguati per spiegare tutti i tratti logici delle connessioni presenti nel linguaggio.
L'esempio di partenza fu la disgiunzione, ma i sistemi successivi di Lewis, quelli diventati famosi, si basano tutti sull'analisi dell'implicazione.
A proposito della disgiunzione egli notò la differenza fra a) e b)
a) piove "oppure" sono le 7.00
b) Maria non mi ama "oppure" io sono amato
Nella tradizionale dicitura filosofica, si direbbe che b) è un enunciato analitico o a priori, per la conoscenza della cui verità non occorre rivolgersi a come è fatto il mondo ma solo alle regole del linguaggio (ammesso che queste ultime siano qualcosa di diverso da come è fatto il mondo).
Ad ogni modo noi oggi abbiamo anche un altro modo di caratterizzare i contesti come b): essi saranno teoremi di una logica del primo ordine, e pertanto saranno sempre veri in un certo linguaggio, data una sua interpretazione.
Lewis si limitò a disapprovare l'uso dello stesso simbolo logico per disgiungere i primi due enunciati e i secondi due. Dovremmo avere un simbolo apposito per indicare la disgiunzione, argomentò, quando ci troviamo in contesti come b); potremmo così esprimere la differenza logica fra a) e b) senza rischio di confusioni. Inoltre avremmo un simbolo, appartenente al linguaggio oggetto, che ci permetta di esprimere, p. es., che una certa disgiunzione è sempre vera, o che è necessaria, o che è un teorema ecc.
Sull'opportunità di AGGIUNGERE segni di tal fatta (si dicono intensionali) al linguaggio oggetto si è fatto un gran discutere. Naturalmente non mi soffermerò su ciò in questa sede.
Lewis, non soddisfatto della disgiunzione, fu ancora meno soddisfatto dall'implicazione filoniana (in particolare riteneva limitato il simbolo dell'implicazione nei Principia di Russell e Whitehead).
L'usuale definizione dell'operatore di implicazione è data in termini di verità (valori di verità sono sia i suoi argomenti che i suoi valori): una implicazione è falsa solo quando l'antecedente è vero e il conseguente è falso, nei rimanenti tre casi è vero.
Lewis riteneva che tale definizione non si attagliasse a tutti i tipi di implicazione logica, e definì un tipo di implicazione (che ha per simbolo il cosiddetto "amo da pesca" che qui non posso riprodurre per la limitazione dell'html) che sussiste fra due enunciati quando non è possibile che sia vero il primo se è falso il secondo.
Lewis scrisse un trattato, il Survey of formal logic, in cui sviluppò il calcolo di questo nuovo tipo di implicazione che si chiama "implicazione stretta":
A implica strettamente B se e solo se non è possibile (A & notB)
Una conseguenza che lascio dimostrare al lettore è che
non è possibile (A & notB) se e solo se necessariamente (A ->B)
quindi
A implica strettamente B se e solo se necessariamente A implica B
In un opera successiva, Lewis et al. svilupparono cinque sistemi di logica modale: S1, S2, S3, S4, S5 (si dimostra che il sistema del Survey è equivalente a S3). Altri sistemi furono presto aggiunti.
Per una disamina in italiano di S1-S5 (oltre ad altri sistemi) si possono vedere i manuali di Huges e Cresswell, il primo dei quali è stato anche tradotto in italiano con il titolo di Introduzione alla logica modale.
Il modo di procedere di Lewis è assiomatico. Scegliamo dal grande insieme degli enunciati veri un insieme di verità che riteniamo più logicamente fondamentali di tutte le altre e evidenti nel loro esser vere. Con le regole della logica inizieremo a dedurre teoremi da questo gruppo di assiomi.
Tuttavia, per la mancanza di una semantica rigorosa, non possiamo rispondere, nel sistema di Lewis a domande come: i teoremi sono tutto ciò che di vero si può dire col linguaggio o ci sono enunciati veri che non hanno una dimostrazione?
NATURA DEGLI ASSIOMI DELLA GEOMETRIA E DELLA MATEMATICA
di Roberto Vescarelli
"Se andiamo alla base del ragionamento matematico, ci imbattiamo in un "assioma", in una proposizione indimostrata, che non è di ordine analitico. Né il principio che legittima le nostre affermazioni può essere dedotto dall'esperienza, perché questa ci autorizza solo per i casi particolari" (A. Giacomo Manno, Filosofia della matematica, Marzorati editore. Milano, 1972, p. 141)
La visione che si può trarre da posizioni di questo tipo, diffuse nella filosofia per lo meno dall'epoca di Kant, è che gli assiomi della geometria e della matematica siano sintetici a priori. Naturalmente ancora oggi molti filosofi accettano la posizione di Kant basandosi su argomenti di questo tipo
a) gli assiomi non sembrano verità analitiche. Nella loro formulazione il significato del predicato non sembra contenuto in quello del soggetto. Inoltre si può negare uno o due assiomi (e.g. della geometria euclidea) e sostituirli con altri (come nelle geom. Non-euclidee) senza cadere in contraddizione; invece negando un enunciato analitico si cade automaticamente in contraddizione.
b) la verità degli assiomi non sembra derivabile o avere a che fare con un numero qualsivoglia grande di osservazioni empiriche circa la natura. Gli enunciati matematici più generali possono essere della forma "Per ogni x ...." (dove "..." sta per un enunciato che contiene x); ciò significa semplicemente che se x è una variabile che sta al posto di nomi di numeri reali, è nella capacità umana fare qualche verifica sostituendo un nome di numero reale in "...." ovunque occorra x, ma non è pensabile nessun tipo di stratagemma che permetta in una quantità finita di tempo, di fare tutte le verifiche necessarie per giustificare la nostra credenza nella verità di "Per ogni x ...."
Infatti la nostra credenza in enunciati come "Per ogni x ..." sembra basarsi più sul fatto di essere riusciti a dimostrarli che non sul possesso di una certa quantità di esempi che verificano l'enunciato.
In uno dei prossimi articoli metterò in discussione gli argomenti in a) e in b) per dimostrare come anche nella filosofia della matematica si possa dire tutto e il contrario di tutto, senza apparente contradizione.
WALTER BURLEY
di Roberto Vescarelli
Per un buon esempio di teoria medievale delle conseguenze possiamo rivolgerci a WALTER BURLEY.
Per un'immagine di questo logico del XIV sec. Si vedano la
pagina di Wikipedia
http://en.wikipedia.org/wiki/Walter_Burley
e la più ricca pagina della Stanford Encyclopedia of Philosophy
http://plato.stanford.edu/entries/burley/
Burley elaborò un buon numero di regole d'inferenza della logica proposizionale sia standard che modale. Ci occuperemo delle regole di logica modale per sottolinearne la vicinanza alla logica contemporanea. Nell'elencare le regole di Burley seguo "La logica nel Medioevo", AA. VV., cap. 12, di I. Boh, p. 255-256, Jaca Book, 1999 (si tratta della traduzione italiana di una parte del "The Cambridge History of later medieval Philosophy"):
PR1
p -> q / ~ possibile (p & ~q)
possibile (p & ~q) / ~(p -> q)
I due schemi di PR1 (propositional rule 1) derivano dalla parafrasi logica delle seguenti parole di Burley:
"In omnia consequentia bona simplici antecedens non potest esse verum sine consequente. Et ideo, si in aliquo casu possibili posito posset antecedens esse verum sine consequente, tunc non fuit consequentia bona".
In italiano il primo schema di enunciati si potrebbe rendere così
Dal fatto che p implichi q si può dedurre che non è possibile che sia vero p e non q
La differenza fra il primo schema e il secondo è che mentre il primo permette di dedurre un enunciato modale da una implicazione, il secondo permette di dedurre un'implicazione da un asserto modale.
Ad ogni modo, non si può non vedere la somiglianza fra PR1 e l'equivalenza di Lewis:
p implica strettamente q se e solo se non è possibile che sia vero p & non q
Sicuramente qualcuno dei sistemi di logica modale contemporanea comprende un calcolo dell'implicazione che è identico a quello Burley.
Infatti se fosse vero anche l'inverso del primo schema di regole, inverso che certamente Burley avrebbe accettato, l'essere, nel vocabolario di Burley "consequentia bona" coinciderebbe con l'essere un'implicazione stretta nel senso di Lewis.
Le regole modali del sistema di Burley comprendono anche queste due DR (derived rules):
DR 1.1
possibile p & ~ possibile q / ~(p -> q)
DR 1.2
Necessario p, possibile ~ q / ~(p -> q)
INTRODUZIONE ALLA LOGICA ENUNCIATIVA
di Roberto Vescarelli
I sistemi di logica simbolica classica (detta anche logica matematica) si svilupparono a partire dalla seconda metà del XIX secolo e giunsero alla loro piena maturità verso la metà degli anni trenta del XX secolo.
Possiamo dividere tali sistemi di logica in due classi: le logiche enunciative e le logiche dei quantificatori. In questo articolo ci occuperemo delle logiche enunciative classiche.
Le logiche enunciative
Un enunciato è una espressione di un certo linguaggio tale da poter essere vera o falsa. Nell'ambito delle logiche classiche vale il seguente PRINCIPIO DI BIVALENZA:
Ogni enunciato è o vero o falso
A partire dagli anni venti, con il lavoro di Lukasievicz, si svilupparono logiche non-classiche in cui il principio di bivalenza non è valido, i.e. in cui gli enunciati possono assumere più valori di verità (ad esempio un valore di verità intermedio fra il vero e il falso). In questo scritto non ci occuperemo di tali logiche. Le logiche classiche furono create prevalentemente per lo studio di sistemi matematici. In tale contesto il principio di bivalenza appare ovvio (anche se può comunque essere messo in dubbio).
Vediamo ora quali siano i simboli del linguaggio di una logica enunciativa:
a) un insieme infinito di lettere enunciative p, q, r, ... usate come nomi di enunciati
b) un insieme di simboli di connettivi logici usati come strumenti per formare enunciati complessi a partire da enunciati più semplici:
¬ (leggi "non")
/\ (leggi "e")
\/ (leggi "o")
-> (leggi "se ... allora" oppure "implica ... ")
<-> (leggi "se e solo se")
c) le parentesi
Chiameremo L il sistema di logica enunciativa che stiamo studiando e useremo i simboli A, B, C ... come lettere dell'italiano che significano enunciati di L. La grammatica di L stabilisce quando una stringa di simboli di L è un ENUNCIATO BEN FORMATO di L.
Ciò di cui abbiamo bisogno è una adeguata definizione grammaticale della nozione di "essere un enunciato ben formato".
In logica, matematica e filosofia esistono diversi tipi di definizioni. Possiamo definire un insieme semplicemente elencando i suoi elementi. Una definizione del genere si chiama "per enumerazione" e non è adeguata ai nostri scopi poiché le formule di L sono infinite. Possiamo altresì definire un insieme individuando una proprietà che i suoi elementi debbono possedere al fine di essere elementi di quell'insieme. Ad esempio possiamo definire l'insieme dei numeri primi asserendo che è un elemento di tale insieme ogni numero naturale divisibile solo per se stesso e l'unità. Neanche questo genere di definizione appare adeguato per definire l'insieme degli enunciati ben formati di L. Tuttavia, se vogliamo definire un insieme I possiamo anche procedere così: asseriamo che alcuni elementi sono in I (base dell'induzione) e che altri elementi, in una certa relazione con i primi, sono in I. Infine ("chiusura" della definizione) asseriremo che qualcosa è elemento di I solo se soddisfa queste due condizioni. Si parla allora di "definizione induttiva generalizzata" di I.
Useremo una definizione induttiva generalizzata per definire l'insieme delle formule ben formate di L:
a) se A è una lettera enunciativa allora è una formula ben formata di L
b) se A e B sono formule ben formate di L, lo sono anche ¬A, (A\/B), (A/\B), (A->B), (A<->B)
c) nient'altro è una formula ben formata di L
In base alla definizione sono formule ben formate di L i seguenti esempi (possiamo eliminare le parentesi, qualora ciò non crei confusione, secondo delle regole di cui ora non parleremo):
p\/q (p o q)
(p/\q)->r (p e q implica r)
Passiamo ora allo studio della semantica di L.
Al fine di condurre tale studio, avremo bisogno della nozione matematica di "funzione". Una funzione n-aria (dove n è un numero naturale) f è una corrispondenza fra due insiemi (detti rispettivamente dominio e codominio di f) tale che a n elementi del primo associ un (e uno solo) elemento del secondo. E.g. la funzione 2-aria (binaria) "somma" è una corrispondenza che associa ad ogni coppia di numeri reali uno e un solo numero reale. Gli elementi del dominio (per i quali la funzione è definita) sono detti "argomenti" della funzione, mentre gli elementi del codominio sono detti "valori" della funzione.
A questo punto possiamo definire alcune funzioni dette "di verità" che associno ad ogni n-upla di valori di verità (delle formule che compongono una formula ben formata di L) un valore di verità (il vero, indicato con "1" o il falso, indicato con "0").
In questo modo riusciremo, una volta assegnati i valori di verità alle lettere enunciative, a calcolare sulla base di quegli argomenti, il valore di verità dell'enunciato complessivo.
Iniziamo dalla negazione. La funzione 1-aria di negazione associa il vero ad una formula ¬A se e solo se A è falsa, altrimenti associa a ¬A il falso. Ciò corrisponde alla nozione comune di negazione, secondo cui la negazione di un enunciato vero è un enunciato falso e, viceversa, la negazione di un enunciato falso è un enunciato vero. La funzione negazione è esprimibile anche attraverso le cosiddette "tavole di verità" (usate fra i primi anche dal filosofo L. Wittgenstein). Una tavola di verità è una matrice in cui compaiono nelle n colonne a sinistra gli argomenti e nella n+1 colonna a destra i valori di verità per tali argomenti. La tavola di verità per la negazione è la seguente:
A ¬A
1 0
0 1
Passiamo ora alla congiunzione "/\". Basandoci sulla comune intuizione linguistica, diciamo che A/\B è vera solo se sia A che B sono veri, mentre è falsa se entrambi i congiunti o anche uno solo di essi è falso. Così la tavola di verità per la congiunzione è la seguente:
A B A/\B
1 1 1
1 0 0
0 1 0
0 0 0
La tavola di verità per la congiunzione è invece la seguente:
A B A\/B
1 1 1
1 0 1
0 1 1
0 0 0
Cioè "A o B" è vero se almeno uno fra A e B è vero, falso altrimenti.
La situazione dell'implicazione è invece più complessa. Asserire che A->B (A è detto l'"antecedente" dell'implicazione, mentre B è detto il "conseguente" dell'implicazione) significa asserire che, qualora A sia vero, anche B lo sia. Tuttavia, fin dall'antichità, ci si è posti il problema di stabilire cosa significhi asserire che A->B quando A è falso. Qualche filosofo antico propose di considerare gli enunciati con antecedente falso come pseudo-enunciati privi di significato, mentre la più parte dei logici è concorde nel sostenere che si tratti di enunciati veri (secondo la massima medievale per la quale "dal falso segue qualsiasi cosa").
Per risolvere la questione nell'ambito di una logica bivalente, basta considerare con attenzione il valore semantico delle uniche tre definizioni vero-funzionali di f-> alternative alla definizione classica (ma aventi in comune con essa le corrispondenze f->(1,1)=1 e f->(1,0)=0):
If->(0,0)=0; f->(0,1)=0
Iif->(0,0)=0; f->(0,1)=1
III f->(0,0)=1; f->(0,1)=0
Dalle tavole di verità si può vedere che la scelta di I comporta che f-> e f/\ siano la stessa funzione, la scelta di III comporta che f-> e f\/ siano la stessa funzione e la scelta di II comporta che f-> sia una funzione i (x, y)=y. L'unica scelta adeguata, nel contesto di una discussione vero-funzionale del problema, sembra essere pertanto quella che assegna ad ogni implicazione con antecedente falso, indipendentemente dal valore di verità del conseguente, il valore di verità 1. È forse utile notare che, nonostante ciò sembri intuitivamente strano, come dimostrato da enunciati (ricorrenti spesso in veste esemplificativa nei testi di logica) del tipo "se 1=2, allora Parigi è la capitale della Francia", non scegliere in questo modo renderebbe inspiegabile la verità di enunciati come "Se il circolo quadrato ha lato t, allora la diagonale del circolo quadrato ha lunghezza t radice quadrata di 2".
Così la tavola di verità dell'implicazione è la seguente:
A B A->B
1 1 1
1 0 0
0 1 1
0 0 1
Infine, la tavola di verità della doppia implicazione (bicondizionale o equivalenza logica) è la seguente:
A B A<->B
1 1 1
1 0 0
0 1 0
0 0 1
Queste cinque funzioni di verità non sono indipendenti l'una dall'altra. Si può dimostrare che esse sono interdefinibili. Per la precisione con la negazione e la disgiunzione o con la negazione e la congiunzione si possono definire tutte le altre. H. M. Sheffer nel 1913 dimostrò come tutti i connettivi vero funzionali siano definibili nei termini di un unico operatore binario | (Sheffer stroke).
Le seguenti sono interessanti e utili definizioni di connettivi vero funzionali in funzione di altri connettivi vero funzionali:
A/\B = ¬ (¬A\/¬B)
A->B = ¬A\/B
A<->B = (A->B)/\(B->A)
Si può anche dimostrare che L è un calcolo funzionalmente completo, ossia che con i soli connettivi per la negazione e per la disgiunzione si possono definire tutte le altre possibili funzioni di verità.
Introduciamo ora il concetto di TAUTOLOGIA. Diremo che una formula ben formata di L è una tautologia quando, per ogni assegnazione di valore di verità ai suoi enunciati costituenti, la formula in questione è vera. Le tautologie sono vere solo in base alla loro forma logica, non in base al valore di verità degli enunciati che le costituiscono. Un esemio di tautologia è il principio del terzo escluso, ossia la formula A\/¬A. Altre tautologie (si può vedere che una formula è una tautologia quando nell'ultima colonna a destra della sua tavola di verità compaiono solo 1 oppure utilizzando una tecnica di refutazione di cui qui non parleremo) sono le seguenti:
A->A
((A->B)/\(B->C))->(A->C)
(A->¬A)->¬A
Una formula ben formata è una CONTRADDIZIONE quando, per ogni assegnazione di valore di verità ai suoi enunciati costituenti, la formula in questione è falsa. Le contraddizioni sono false solo in base alla loro forma logica, non in base al valore di verità degli enunciati che le costituiscono. Un esempio di contraddizione è A/\¬A.
Le formule che non sono né tautologie né contraddizioni, ossia quelle formule che sono talvolta vere e talvolta false, sono dette ANFOTERE.
A questo punto possiamo parlare di SISTEMI ASSIOMATICI. Un sistema assiomatico è un insieme così composto:
a) un linguaggio e una grammatica
b) un insieme di tautologie dette "assiomi"
c) un insieme di regole di inferenza logica
Lo scopo di un sistema assiomatico è permettere la deduzione di alcuni enunciati, detti teoremi della teoria, dagli assiomi della teoria, tramite l'applicazione a questi ultimi di alcune delle regole di inferenza.
Prenderemo in considerazione un sistema assiomatico per la logica enunciativa L.
Gli schemi di assiomi saranno i seguenti:
1) A->(B->A)
2) (A->(B->C))->((A->B)->(A->C))
3) (¬B->¬A)->((¬B->A)->B)
L'unica regola logica sarà il cosiddetto modus ponens, che ci permette di inferire B da A e A->B.
Una dimostrazione è un insieme di enunciati ciascuno dei quali o è un assioma, o è derivato da qualche assioma tramite l'applicazione della regola del modus ponens. L'ultimo enunciato di una dimostrazione è detto "teorema"
Forniamo ora un esempio di dimostrazione. Dimostreremo che p->p è un teorema.
a) (p->((p->p)->p))->((p->(p->p))->(p->p)) assioma 2)
b) p->((p->p)->p) assioma 1)
c)(p->(p->p))->(p->p) da a) e b) per modus ponens
d) (p->(p->p)) assioma 1)
e) p->p da c) e d) per modus ponens
Vogliamo ora sapere quale rapporto ci sia fra l'essere un teorema di L e l'essere una tautologia. A questo proposito si dimostrano due importanti teoremi della semantica di L (che noi non dimostreremo in questa sede) ossia:
TEOREMA DI VALIDITA' Ogni teorema di L è una tautologia di L
e
TEOREMA DI COMPLETEZZA Ogni tautologia di L è un teorema di L
Per concludere si elencano una serie di regole di inferenza valide nei sistemi standard di logica enunciativa. Esse sono una serie di utili stratagemmi per la dimostrazione di teoremi:
A->B, ¬B / ¬A
A, B / A/\B
A / A\/ B
A\/ B, ¬B / A
A, B / A->B
¬(A/\ B), ¬B / ¬A
¬¬A / A
FILOSOFIA E SPERANZA
di Diego Fusaro

Recensione di "Filosofia e speranza. Ernst Bloch e Karl Löwith interpreti di Marx", Il Prato, Padova 2005, 130 pagine.
L'obiettivo che l'autore del libro si è proposto col suo lavoro è stato quello di indagare su uno dei maggiori problemi irrisolti che Karl Marx ha lasciato in eredità ai suoi interpreti: la legittimità della speranza in sede pratica e teoretica, tanto nella cornice del suo pensiero quanto nel più ampio orizzonte della filosofia. Il punto di partenza della trattazione di Fusaro è stata la problematica sovrapposizione che innerva gli scritti marxiani delle dimensioni eterogenee della speranza e della scienza, quasi come se, per quel che riguarda il tramonto del capitalismo e l'instaurazione della società comunista, sussistesse un?identità tra il «dovere in senso morale» (sollen) e il «dovere in senso fisico» (müssen), con la conseguente aporia per cui, a seconda della prospettiva adottata, ci si trova a sperare in qualcosa che dovrà necessariamente accadere, o a dare una veste scientifica alla speranza
La linea interpretativa seguita da Fusaro è quella che scorge in Marx il filosofo della speranza più che della scienza e che in particolare, pur prendendo le mosse dalla sua evidente renitenza a predipingere il futuro e a prescrivere «ricette per l'osteria dell'avvenire», riconosce nella sua riflessione un'ineludibile tensione messianica e utopica rispetto alla quale la scienza sarebbe un fenomeno secondario e subordinato. Fusaro assume come posizioni paradigmatiche le riflessioni di Ernst Bloch e di Karl Löwith, sia per la lucidità, sia per le opposte valutazioni del pensiero di Marx che le contraddistinguono.
Entrambi sostengono la centralità del momento della speranza in Marx, ma in forza delle concezioni antitetiche di questo sentimento che essi fanno valere all'interno della propria riflessione, lo valutano in maniera opposta. Tanto per Bloch quanto per Löwith la vera anima del marxismo è la speranza: un'anima che però è letta dal primo come il punto di forza della teoria di Marx, dal secondo come il suo tallone d'Achille. Liquidandola come il meno filosofico degli atteggiamenti possibili, invalso con l'avvento della prospettiva cristiana futuro-centrica e riadattato in forma perversamente secolarizzata dalla filosofia della storia, Löwith non può che ravvisare in Marx il paradigma di un pensiero contraddittorio nelle sue stesse fondamenta; una filosofia, per di più, responsabile - ancorché indirettamente - di tutte le catastrofi che nel Novecento sono state compiute in suo nome.
Sul versante opposto, conferendo alla speranza lo statuto ontologico di principio che permea l'universo oltre che di stato d'animo che da sempre sospinge l'uomo, Bloch scorge in Marx il filosofo supremo, quello che ha fatto della speranza la base della teoria e soprattutto della prassi, ereditando le universali speranze umane e convogliandole in un'unica «docta spes» consapevole delle proprie possibilità; un filosofo che il Novecento non ha fatto altro che travisare in sempre nuovi fraintendimenti e trasfigurazioni.
Nel capitolo che segue la presentazione del lavoro e del tema della speranza negli scritti marxiani, è analizzato il modo in cui Löwith declina il tema della speranza, liquidandola come l'atteggiamento degno del credente fiducioso in un remoto futuro che sfugge alla presa della ragione filosofica: il capitolo è significativamente intitolato «filosofia o speranza», a sottolineare come per Löwith la scelta dell'una comporti con ciò stesso l'abbandono dell'altra. Nel successivo capitolo, è stato invece preso in esame il tema della speranza in Bloch, tema che costituisce il cuore della sua filosofia e che egli fonda su basi ontologiche. Questo capitolo è stato invece intitolato «filosofia e speranza», per adombrare l'idea blochiana secondo cui, solo dove c'è speranza, c'è filosofia in senso autentico. Le due componenti, che in Löwith si elidevano mutuamente, in Bloch sono coessenziali. Nel capitolo seguente, intitolato «Bloch e Löwith di fronte a Marx», è esaminato il rapporto che i due pensatori intrattengono con Marx alla luce dei sistemi che sono venuti elaborando: il capitolo è suddiviso in quattro sottocapitoli; nei primi tre («storia di un incontro», «due percorsi inversi» e «con Marx, contro Marx») sono ripercorsi i diversi modi in cui i due pensatori si accostano a Marx e ne leggono il pensiero nelle loro opere; nel quarto («il socialismo reale») è preso in considerazione il modo opposto in cui i due autori rispondono alla vexata quaestio della responsabilità di Marx per le tragedie che hanno costellato il Novecento. Infine, nella conclusione, vengono svolte alcune considerazioni generali di filosofia della storia: la domanda che fa da stella polare a quest?ultimo capitolo è se al tramonto della pur contraddittoria esperienza sovietica abbia fatto seguito una generale eclisse della «speranza sociale».
Il libro può essere acquistato on line all'indirizzo http://www.filosofico.net/filsperanza.htm ricevendolo a casa al prezzo di copertina, senza spese di spedizione e con pagamento alla consegna
MESSAGGI E INFORMAZIONE
di Oscar Bettelli
Recensione di Messaggi e Informazione, di Oscar Bettelli, edizioni Marco Valerio
Partendo dalla teoria matematica dell'informazione ed utilizzando la metafora del personal computer, il libro affronta l'analisi del principale elaboratore di informazioni che l'uomo ha oggi a sua disposizione: il proprio cervello.
Attraverso l'esame del problema del significato e della sua codifica, l'autore passa dall'analisi del piano fisico della comunicazione alla proposta di un'ipotesi di ricerca: che l'informazione possa propagarsi nel vuoto senza l'utilizzo di energia.
Il libro si sofferma sulla esuberante complessità del cervello umano mostrando come esso sia il principale elaboratore di informazioni che conosciamo.
In particolare, è possibile definire lo scambio di informazioni come una correlazione tra stati mentali di ciascun interlocutore. In tal modo la correlazione potrebbe essere possibile anche in assenza di messaggi specifici che trasportano l'informazione.
La meccanica quantistica ha mostrato come esista una correlazione istantanea che sussiste tra particelle accoppiate. Ogni particella conosce quello che sta facendo l'altra e questo senza lo scambio di messaggi espliciti, ma solo in funzione di una correlazione istantanea.
Oscar Bettelli è laureato in fisica teorica e si occupa di informatica in ambito industriale. Lavora presso il centro di calcolo dell'Università di Bologna.
Ha pubblicato Dati, Relazioni e Associazioni, Milano 1991; Macchine intelligenti, Milano, 1997; Processi cognitivi, Bologna, 2000; Sincronicità: un paradigma per la mente, Roma, 2001; Messaggi e comunicazione, Milano, 2002.
IL SOCIALISMO PRIMA DI MARX
di Roberto Vescarelli
Il socialismo iniziò a svilupparsi prima della Rivoluzione Francese. Tuttavia è nel periodo 1789 - 1848 che ritroviamo i diretti predecessori dell'opera di Marx ed Engels, predecessori che furono detti socialisti utopistici (per contrapposizione con il socialismo scientifico). E' bene chiarire che non tutti questi personaggi furono però degli utopisti in senso stretto.
In questo articolo traccio il profilo di questi personaggi rifacendomi a [1, Le origini del socialismo contemporaneo, Gian Mario Bravo, Sansoni, 1974] e riporto i link ai siti internet che mi sono parsi più interessanti.
Louis Augustine Blanqui (1805-1882)
"Marx ed Engels gli rimproveravano la concezione della rivolta-insurrezione, avviata inizialmente da pochi, dall'élite rivoluzionaria, la quale non si proponeva tanto di dirigere le masse, bensì di offrire a queste la rivoluzione, se non totalmente portata a termine, almeno già impostata e suscitata" [1, 24]
Articolo di Wikipedia su Blanqui in Francese
http://fr.wikipedia.org/wiki/Auguste_Blanqui
Articolo di Wikipedia su Blanqui in Italiano
http://it.wikipedia.org/wiki/Auguste_Blanqui
Claude Henri de Saint-Simon (1760-1825)
"Si proponeva di "riorganizzare" il capitalismo, per dar vita a una nuova dimensione della società, a un nuovo stato degli scienziati, ordinato gerarchicamente, ma non autoritariamente, e soltanto in vista di una più funzionale "amministrazione delle cose" che avrebbe dovuto sostituire ogni governo politico ... erano i lavoratori, a tutti i livelli, a produrre la ricchezza della società e quindi, uniti agli scienziati, avrebbero dovuto assumerne le responsabilità di direzione... Il pensiero di Saint-Simon sembrerebbe dunque esser interclassistico ... datori di lavoro e operai facessero parte di un'unica classe, con intenti largamente comuni, pur essendo nel loro interno sociologicamente differenziati, al termine della vita mutò radicalmente opinione ... Il sansimonismo rappresentò un grande movimento intellettuale, che si diffuse in breve tempo su tutta l'Europa e anche oltre i confini del Vecchio Continente" [1, 26-29]
Saint-Simon e la sua scuola, in Italiano, di Stefano Tropea
http://web.tiscali.it/icaria/urbanistica/saintsimon/saintsimon.htm
Dottrina di Saint-Simon:
http://www.filosofia.unina.it/tortora/sdf/Quinto/V.2.html:
"[nello] sviluppo storico, possiamo rilevare l'alternarsi di epoche organiche, in cui tutta la vita della società ruota intorno ad un nucleo ideale ispiratore, allo stesso tempo, sia dei sistemi filosofici, etici e religiosi, sia dell'organizzazione sociale, economica e politica della società, ed epoche critiche, cioè quelle in cui l'unità della società si sgretola sotto la spinta dell'esigenza di nuovi «principi» che diano nuovo e migliore assetto globale alla vita umana. Sicché la storia appare regolata dalla legge del progresso, per la quale non solo non si verificano mai passi all'indietro, ma ogni stadio ulteriore dell'umanità rappresenta uno sbocco necessario e una conquista rispetto alla condizione precedente. L'ultima epoca organica, poi, fu, a suo giudizio, quella «medievale», dominata dalla fede in Dio e dall'ideale della fratellanza; quella «moderna» è invece un'epoca critica, caratterizzata com'è dal disordine spirituale e sociale derivato dalla distruzione dei valori teologico-politici medievali; distruzione prodotta, oltre che dalla Riforma, dalla nascita della nuova scienza. Tuttavia proprio nell'età moderna si vanno delineando, egli dice, i caratteri dell'età contemporanea. La scienza moderna ha assunto come principio che bisogna pensare ed organizzare il sapere sulla base dei fatti positivi, empiricamente rilevabili. Tale principio, che già informa l'astronomia, la fisica e la chimica, finirà, per la necessità del progresso storico, col costituire il fondamento di tutte le altre scienze e della stessa filosofia. Nascerà allora un nuovo sistema religioso, morale e politico che sarà la base di una organizzazione positiva della società"
Charles Fourier (1772-1837)
"Nel suo "piano sociale" Fourier avanzava la proposta fondamentale dell'armonia degli interessi di tutti, con l'obiettivo finale della società armonica ... a detta società si sarebbe pervenuti non tramite la lotta, bensì attraverso la convinzione, la semplice propaganda e la forza dell'esempio ... proclamò inoltre la parità dell'uomo e della donna, ... e nuovi metodi pedagogici, prevedendo di educare il bambino nel modo più libero possibile, favorendo lo sviluppo degli istinti e di tutte le tendenze connaturate con la singola personalità, sempre in vista del raggiungimento dell'equilibrio armonico fra l'uomo e la società ... La nuova società ... sarebbe stata fondata sulle leggi naturali dell'economia ... Lo strumento immediato di questa costruzione dovevano diventare i falnsteri, o falangi, piccole comunità sociali e architettoniche in pari tempo, in cui si sarebbe innalzata la società armonica, per promuovere i quali Fourier stesso si batté inutilmente" [1, 31-33]
Pagina di Wikipedia
http://en.wikipedia.org/wiki/Charles_Fourier
Su Fourier
http://www.spartacus.schoolnet.co.uk/RUSfourier.htm
Columbia Encyclopedia
http://www.bartleby.com/65/fo/FourierC.html
Charles Fourier Archive
http://www.marxists.org/reference/archive/fourier/
William Godwin (1756 ? 1836)
Capostipite dell'anarchismo e del socialismo in Inghilterra.
Secondo Godwin, al socialismo libertario "si sarebbe giunti attraverso la libera formazione dell'uomo, con l'educazione e l'istruzione, e la cui attuazione ... sarebbe avvenuta evoluzionisticamente per semplice volontà dei singoli" [I, 36-37]
Stanford Encyclopedia of Philosophy
http://plato.stanford.edu/entries/godwin/
Anarchy Archives
http://dwardmac.pitzer.edu/anarchist_archives/godwin/Godwinarchive.html
Robert Owen (1771-1858)
"Capitano d'industria di successo, filantropo, fautore di una coraggiosa politica assistenziale nei confronti dei propri dipendenti di New Lanark e, in campo nazionale, di una legislazione sul lavoro molto avanzata .... Le parti più incisive dell'insegnamento sono rappresentate dagli studi sull'educazione intellettuale e sociale dei giovani" [1, 37]
Pagina a cura di Diego Fusaro
http://www.filosofico.net/robertowenn.htm
Page by Spartacus
http://www.spartacus.schoolnet.co.uk/IRowen.htm
Pagina in italiano su Owen
http://www.problemistics.org/manuale.intellettuale/owen.html
Links a opere di Owen e a siti che lo riguardano
http://cepa.newschool.edu/het/profiles/owen.htm
Louise Blanc (1811-1882)
"Con la sua proposta di costituzione di officine sociali, vere e proprie associazioni cooperative di produzione, che sarebbero sorte con l'appoggio diretto dello Stato e con il benvolere dei capitalisti ... nel 1848, allorché - essendo il Blanc stesso, nel governo provvisorio del febbraio, una specie di ministro del lavoro - furono realizzate le officine nazionali, con il compito di far eseguire ai disoccupati lavori pubblici d'interesse generale, avendo però effettivamente la funzione riduttiva di enti di assistenza ... Contribuì in modo decisivo all'affermazione del principio del diritto al lavoro, che cominciò ad affacciarsi come diritto autonomo, di cui ogni singolo era portatore sia in virtù della legge naturale sia per il fatto d'esser membro della collettività umana" [1, 43-44]
Pierre Joseph Proudhon (1809 - 1865)
Il suo socialismo libertario "ha come presupposto non la classe operaia come entità modernamente concepita, bensì i ceti artigiani, o meglio, la piccola borghesia estraniata nelle società ad alto sviluppo industriale" [1, 44]
L'unica opera duratura di P. si intitola Che cos'è la proprietà?. In essa, scritta nel 1840, si risponde che la proprietà è furto: "Si pronunciava per l'"impossibilità" e la non-razionalità della proprietà privata e, distinguendola dal "possesso", dichiarava che era possibile costruire, basandosi su quest'ultimo, una nuova forma economica....
Egli parlava di "conciliazione" fra le classi, negava la necessità dell'organizzazione della coalizione operaia" [1, 45-46].
P. fu il primo pensatore a definirsi "anarchico".
Pagina di Wikipedia
http://en.wikipedia.org/wiki/Pierre-Joseph_Proudhon
Anarchy Archives
http://dwardmac.pitzer.edu/anarchist_archives/proudhon/Proudhonarchive.html
Links alle opere e a siti a lui dedicati
http://cepa.newschool.edu/het/profiles/proudhon.htm
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