FILOSOFI E FILOSOFIE


Mensile di filosofia a cura di Roberto Vescarelli


N°1, III-2006


CONTENUTI:


LE VERITA' MATEMATICHE SONO VERITA' NECESSARIE?
I QUATTRO DIVERSI SIGNIFICATI DI E'
SENSO E DENOTAZIONE DEI TERMINI SINGOLARI
COS'E' LA BELLEZZA?
LA LOGICA DEI MEGARICI
DE INVENTIONE
POSSIAMO TROVARE UN SOFTWARE CHE RENDA PENSANTI LE MACCHINE?
LINKS
IMPLICAZIONE
PATER NOSTER
ANALITICO E SINTETICO

LE VERITA' MATEMATICHE SONO VERITA' NECESSARIE?


Ognuno possiede la propria idea di necessità, data dal tipo di frase che solitamente colloca dopo l'espressione "è necessario che".
I filosofi contemporanei hanno cercato di fornire definizioni che rendano conto del significato che il termine ha in matematica e in filosofia.
Parliamo di una di queste definizioni.

Innanzitutto occorre dire che sono gli enunciati (le frasi dotate di un senso) che possono essere o non essere necessari. Un enunciato è necessario quando è vero e la sua verità non dipende da come è fatto il mondo ma solo dalle regole semantiche del linguaggio.

Facciamo un esempio:

"Io sto scrivendo questo articolo"

è un enunciato vero, ma non è necessario, poiché per scoprire se è vero c'è bisogno di un'indagine circa il mondo (bisogna andare a vedere se io sto effettivamente scrivendo il post).

D'altro canto

"Tutti gli scapoli sono non sposati"

è un enunciato necessario, poiché la sua verità dipende unicamente dal significato di "scapolo", e non da come è fatto il mondo.

Una delle tesi più diffuse fra i filosofi, a proposito della matematica, è quella secondo cui tutti gli enunciati veri della matematica sono anche enunciati necessari.

Bene, in questo articolo discutiamo un argomento, risalente a Wittgenstein, con cui si dimostrerebbe proprio che gli enunciati dell'aritmetica non sono necessari (ma sono solo "contingenti", ossia non-necessari), contro l'opinione della maggior parte degli studiosi.

Ecco l'argomento

"Immagina due cerchi sovrapposti, A e B. A contiene tre punti, B quattro. Così A=3 e B=4. Tuttavia, due dei punti risiedono nell'area dove A e B sono sovrapposti. Quindi si dà il caso che A+B=5. E perciò gli enunciati aritmetici sono contingenti."

Inizialmente devo osservare che ci sono nell'argomento degli aspetti che non mi convincono. Consideriamo il terzo enunciato: formulato correttamente sarebbe (dove |X| è la cardinalità dell'insieme "X")

|A|=3 & |B|=4.

In più il penultimo enunciato contiene un'ambiguità: infatti A + B = 5 può significare tanto |A| + |B|=5 (che è falso) quanto |A U B|=5 (che è vero). Nel primo caso si afferma che la somma delle cardinalità di A e di B è uguale a 5, il che è falso, perché 3 più 4 fa sette. Nel secondo caso si afferma che la cardinalità dell'insieme unione di A e di B è 5, il che è vero, perchè A e B hanno proprio due elementi in comune.

Quello che l'argomento vorrebbe dire è che 3+4 è solo contingentemente o possibilmente uguale a 7 (e potrebbe essere uguale a cinque come nell'esempio) e quindi che 3+4 non è necessariamente uguale a 7, contrariamente a quanto pensato dalla maggior parte dei filosofi.

Personalmente sono di questa opinione: una volta formalizzata l'aritmetica dei numeri naturali, data una certa caratterizzazione formale della somma, 3+4=7 non solo sarà vero, ma sarà vero necessariamente. Succede come quando comprendi che se "A implica B" è vero e "A" è vero, allora è vero necessariamente anche B (anche in questo caso vi è un contesto dato dalla comprensione di "è vero" e di "implica").

Ma prima che l'enunciato sia reso necessario dal suo contesto (la formalizzazione), sarebbe il contesto stesso a poter essere diverso! Con una definizione alternativa di somma, ad es. a+b=a-2+b, potrebbe essere necessariamente vero che 3+4=5.

Ecco che cosa fa vedere l'argomento: se tanto 3+4=7 che 3+4=5 possono essere enunciati necessari, allora nessuno dei due è necessario ma entrambi sono contingenti, e così, dappresso, è contingente tutta la matematica in quanto il significato dei suoi enunciati dipendono da dei contesti e non solo dalla forma degli enunciati stessi.

Potremmo cercare maggior chiarezza stipulando che la somma non è sia una funzione ma un insieme di funzioni. La funzione prevalentemente usata è associata al simbolo binario di funzione "+". Per essere precisi la somma è, quanto al significato, una collezione non arbitraria di funzioni (ad esempio tutte binarie, tutte che hanno per argomento numeri o insiemi, ecc.) ed è, quanto al senso, quella proprietà comune a tutti i membri della denotazione.

Quello che io sostengo è che in tali circostanze per ognuna delle funzioni somma *, ci sarà qualche enunciato a*b=c che è vero necessariamente, di modo che l'espressione a*b non è che "possa" solo essere uguale a c, poiché l'espressione lo "deve" essere sempre e comunque.

Così io non credo, come non ho mai creduto, che gli enunciati matematici siano contingenti: si vede a occhio nudo che si parla di cose vere da millenni come 3+4=7 eppure si esita ad assegnargli il ruolo di enunciato necessario. E' vero che si può adottare la strategia di quello che si mise ad aspettare che il tre si stancasse di essere il sette una volta sommato al quattro, e che ostinatamente rifaceva la somma credendo che prima o poi sarebbe uscito il cinque, ma io credo che con qualche ragionamento si possa evitare di ricorrere a test impossibili per principio. In fondo la proprietà che dobbiamo scoprire (la necessità degli enunciati dell'aritmetica) è una proprietà astratta, e non è quindi detto che non si possa trovare la verità con qualche bell'esperimento mentale.


I QUATTRO DIVERSI SIGNIFICATI DI E'


In Leila Haaparanta, "Frege's doctrine of being" (Acta Phil. Fennica, vol 39, 1985) si distinguono quattro diversi significati che il verbo essere può avere nel linguaggio naturale. La distinzione risale al lavoro del grande logico G. Frege.

1


In un primo senso di "è", esso serve per esprimere l'identità tra due oggetti, come in "Espero è Fosforo"

Come possiamo analizzare logicamente questa prima accezione del termine? Aiutandoci con alcuni simboli della matematica potremmo sostenere che tutti gli enunciati in questione hanno la forma logica "a=b".

Possiamo analizzare questo senso di "è" sostituendo il suo simbolo con il simbolo di uguaglianza. Ciò è grandioso, ma non sembra rendere del tutto quello che succede quando si pronuncia un enunciato come "Espero è Fosforo" ... Questo genere di enunciati ha creato tutta una serie di dibattiti filosofici di cui parleremo ancora in questa rivista.

2


"E'" può essere usato nella predicazione come nel caso di "Platone è un filosofo"

In questo caso stiamo attribuendo una proprietà ("essere un filosofo?) ad un oggetto ("Platone") (non c'entra più l'identità fra oggetti). Facendo questo asseriamo che la denotazione del nome dell'oggetto appartiene all'insieme che è denotazione del predicato. Ossia possiamo analizzare questo senso di ?è? introducendo operatori per l'appartenenza di un elemento a una classe e relativi simboli. Analogamente si può analizzare il senso degli enunciati di questo tipo sostenendo che esso sia della forma P(a).

3


Ma il senso più filosofico di "è" è quello relativo all'esistenza, quando "è" è usato per esprimere l'esistenza di oggetti o di insiemi di oggetti.

Es: Dio esiste; Ci sono esseri umani.

Possiamo avere due distinte parafrasi logiche di ciò che è detto con gli enunciati in questione:

a) usando il quantificatore esistenziale e il simbolo dell'uguaglianza. Infatti affermando che Dio esiste affermi che esiste qualcosa che è identico a Dio, affermando anche che entrambi gli identici esistono. Infatti ogni cosa che esiste ha la proprietà di essere identica a se stessa. E per il principio di Leibniz, due identici hanno esattamente le stesse proprietà, e quindi anche quella di esistere o meno.

Pertanto la parafrasi logica del primo esempio sarebbe

Esiste un x tale che x=Dio & x è

b) usando il quantificatore esistenziale e il simbolo per la predicazione.

Infatti in un certo senso con un giudizio come "Esistono esseri umani", stai affermando che la classe che è denotazione del predicato "uomo" non è vuota, e quindi che esiste un x tale che un certo predicato (essere un uomo) gli appartiene.

4


Infine "è" può essere usato per esprimere inclusione fra classi o equivalentemente implicazioni fra due enunciati.

Es: Ogni cavallo è un quadrupede

Prima parafrasi:

la classe dei cavalli è un sottoinsieme della classe dei quadrupedi

Seconda parafrasi

Essere un cavallo implica essere un quadrupede

Si può dimostrare che queste due parafrasi sono equivalenti


SENSO E DENOTAZIONE DEI TERMINI SINGOLARI


In questo articolo tratto della distinzione fra senso e denotazione.

Essa risale agli Stoici, i quali teorizzarono anche l'immaterialità del senso.

Gli Stoici distinsero tre cose:

1)ciò che dice (la parola o la frase)
2)ciò che viene detto (il senso di ciò che dice)
3)i fenomeni di cui si dice (la denotazione di ciò che dice)

Tuttavia la distinzione è tornata in auge nella logica, filosofia del linguaggio e linguistica contemporanee grazie sopratutto all'articolo di Frege Sinn und Bedeutung, del 1892.

Frege, lavorando su linguaggi logici e su quelli matematici trovò che ogni espressione ben formata del linguaggio ha una connotazione e una denotazione.

Le espressioni ben formate dei linguaggi logici classici sono solo di due tipi (naturalmente è la grammatica che stabilisce se un'espressione è ben formata in un determinato linguaggio): TERMINI ed ENUNCIATI.

Partiamo dai termini del linguaggio dell'aritmetica. Un termine di questo linguaggio è definibile così: o è il nome di un numero naturale o è il risultato dell'applicazione di una funzione n-aria a n termini. Sono esempi di termini "1", "2+15", "(7-3) x 5". Per Frege essi esprimono un senso (un concetto o INTENSIONE) e denotano individui (nell'ordine 1, 17, e 20).

Si sarà dunque compresa la fondamentale distinzione fra senso e denotazione di un termine: la denotazione di un termine appartiene sempre alla classe dei naturali, mentre il senso dei termini non appartiene a tale classe, ma alla classe del "meaning" o senso o sinn. Quando si comunica a qualcuno un termine non si sta solo nominando in uno dei modi possibili un certo numero naturale, ma si sta anche fornendo una "descrizione unica e irripetibile", detta senso del termine, della denotazione del termine. Così "1+3" non è solo uno dei nomi del 4, ma indica il 4 con un senso differente rispetto al senso di "5-1", anche se la denotazione dei due termini è la stessa, e quindi "1+3=5-1".

La stessa distinzione fra senso e denotazione si fa quando si considerino gli enunciati di un certo linguaggio invece di considerare solo i termini.

Proviamo a definire gli enunciati dell'aritmetica e a vedere come si applica a loro la distinzione fra senso e denotazione.

Un enunciato è un enunciato atomico quando è un simbolo n-ario di relazione seguito da n termini. (fra i simboli di relazione vi è almeno il simbolo binario della rel. rifl. trans. e simm. che indichiamo con "=").

Un enunciato è un enunciato se è un enunciato atomico oppure è la congiunzione di enunciati, o la loro disgiunzione o la loro implicazione o la loro doppia implicazione o la loro quantificazione esistenziale (se A è un enunciato anche "esiste un x tale che A" è un enunciato).

Sono esempi di enunciati:

1=788-777

3>(5+2)

Esiste un x tale che (x+3=5) implica che (x=2)

ecc.

A questo punto sorgono domande circa la natura e il senso degli enunciati:

a) tutti gli enunciati sono o veri o falsi?

b) gli enunciati descrivono stati di cose possibili?

c) il senso degli enunciati è il modo in cui descrivono un certo stato di cose possibile?

d) la denotazione degli enuncitati è il loro valore di verità? Oppure sono i fatti che sono descritti dagli enunciati stessi?

Spero di aver chiarito la distinzione fra senso e denotazione almeno per i termini del linguaggio dell'aritmetica. Una delle prime distinzioni per qualsiasi disciplina che voglia studiare scientificamente il linguaggio e il suo uso è proprio quella di cui ho parlato.

La distinzione fra senso e denotazione costituisce il primo passo della semantica (la disciplina che studia il senso delle parole e delle frasi dei linguaggi naturali) che si fa scienza. E' una distinzione di reale e grande importanza.

Quello che abbiamo fatto per i termini dell'aritmetica possiamo sperare di farlo anche per gli equivalenti termini dei linguaggi naturali. Infatti tutti i linguaggi naturali hanno parole o gruppi di parole che si comportano come NOMI PROPRI, ossia stanno per oggetti considerati semplici o insiemi considerati nella loro globalità: sono termini dell'Italiano

Roberto Vescarelli

Le Twin Towers

Acqua

Ad una prima occhiata anche per i nomi delle lingue naturali vale la distinzione fra senso e denotazione. Quello che la seconda espressione denota è venuto tragicamente meno ma la sua connotazione o senso non smetterà mai di esistere. Essa aveva una denotazione che era uno dei membri della classe degli edifici, e ha un senso che è membro della classe delle descrizioni di fenomeni architettonici tramite un nome proprio.

Naturalmente la possibilità di usare nomi propri nel linguaggio comune solleva interessanti problemi filosofici legati al senso e alla natura della denotazione:

a) come mai si può usare un nome proprio per considerare un fenomeno "nel suo insieme" e "nella sua globalità" come se fosse una cosa sola, alcunché di "semplice"

b) quando "battezziamo" qualcosa con un nome proprio in che maniera veniamo a "creare" il senso del nome proprio?

c) in che modo, senza usare l'ostensione, comunichiamo ad altri il senso del nome proprio?

d) la denotazione del nome proprio (l'individuo) è la stessa della denotazione di espressioni più complicate che possono funzionare ancora come nomi propri; tuttavia l'impressione è che il senso espresso dal nome proprio più semplice sia in qualche modo non solo differente, ma anche più profondo ed essenziale e generale del senso espresso dal nome proprio più complicato. Ad esempio confronta il senso di "1" e di "2-1" o di "Aristotele" e di "il più dotato fra gli allievi di Platone". Come mai avviene questo?

COS'E' LA BELLEZZA?


In questo articolo esprorrò la teoria filosofica che sorge di primo acchito, a proposito della bellezza, analizzando il linguaggio, sosterrò che essa non spiega i fenomeni e, infine, fornirò la mia propria posizione al riguardo.

Bello non è un verbo che esprima un azione, anche se potrebbe esistere (in italiano o in inglese o in tedesco, dove non esistono) un verbo stativo che esprima lo stato di ?essere bello?. Comunque, ?bello? funziona come una proprietà, ossia come una relazione a un posto, che viene attribuita o non attribuita ad un fenomeno. Proprio come possiamo attribuire alle singole cose rosse la proprietà ?essere rosso?, così attribuiamo il predicato ?essere bello? alle cose che sono belle. Analizzando il linguaggio sembra proprio che la bellezza si comporti come una proprietà.

A mio giudizio questa teoria è fuorviante, poiché non è vero che la bellezza sia una proprietà del fenomeno detto bello. Questo è quanto suggerirebbe la grammatica, ma evidentemente ci troviamo di fronte ad un caso in cui l'inventore della grammatica non era un buon filosofo. È risaputo che il linguaggio può ingannare. La teoria è fuorviante poiché è a tutti evidente come gli oggetti possano essere belli per una persona e non per altre. Quindi non esiste un criterio accettato da tutti per determinare l'insieme delle cose che sono belle.

Pertanto dobbiamo rifiutare la visione secondo cui la bellezza è una proprietà delle cose.
Si scoprirà, così, che la questione se la bellezza sia una proprietà oggettiva o soggettiva è una pseudo-questione, come è una pseudo-questione chiedersi se, come proprietà, risieda negli oggetti belli o abbia esistenza separata. Infine, alcune questioni, come quella riguardante il fatto che la bellezza può avere dei gradi, sembrano legate strettamente al suo essere una proprietà. In questo caso ?essere bello? ha dei gradi esattamente come ?essere calvo?. Vedremo che con il nostro approccio si può recuperare la gradualità del bello.

È giunto il momento di fornire la mia definizione di bellezza.

La bellezza è una relazione a due posti fra un soggetto e un fenomeno, che sussiste quando una parte del fenomeno provoca nel soggetto un particolare tipo di piacere detto piacere estetico.

Per cui la denotazione del termine ?bello? è un insieme di coppie ordinate < proprio, fenomeno> tali che per il soggetto che è denotazione del nome proprio, il fenomeno in questione è bello. In quanto al senso del termine, mi sembra che la definizione renda bene il senso di ?essere bello per qualcuno?, che noi supponiamo essere equivalente al senso di ?essere bello?.

In questo modo non avremo più il problema di caratterizzare l'insieme delle cose belle: esso è l'insieme delle cose che sono belle per qualcuno al tempo t. La bellezza è quest'insieme (di coppie).

Come apprendono gli artisti a fare cose belle? Visto che la bellezza, come da definizione, dipende anche dalle proprietà dell'oggetto che possono provocare il piacere estetico, essi in parte usano dei trucchi presi dalla tradizione per creare cose che ai più paiano belle, in parte cercano qualcosa di nuovo che sia in grado di suscitare in qualcuno l'esperienza della bellezza. Nel primo caso l'artista può apprendere a fare cose belle, nel secondo caso deve creare fidandosi del proprio talento.

Perché la bellezza ha dei gradi? La nostra definizione offre la possibilità di una spiegazione. Supponiamo che il fenomeno F sia bello sia per x che per y. Tuttavia la sensazione estetica, che è prevista dalla nostra definizione di bellezza, di x può essere più intensa di quella di y. Oppure può accadere che mentre per x tutto il fenomeno F provochi la sensazione di bellezza, per y solo una parte di F la provochi.

LA LOGICA DEI MEGARICI


In questo articolo utilizzo il famoso "Storia della logica" di W.C. Kneale e M. Kneale (Einaudi, 1972 [Ia ed. inglese, 1962]) per spiegare i progressi compiuti dalla logica dopo la morte di Socrate grazie al lavoro di una scuola detta "Megarica".
La scuola megarica fu fondata da Euclide di Megara (un contemporaneo di Platone e di poco più vecchio di lui) che fu maestro di Eubulide (l?autore dei notissimi paradossi) e Stilpone (che fu maestro di Zenone di Cizio). Eubulide fu maestro di Apollonio Crono, a sua volta maestro di Diodoro Crono.
I megarici contribuirono allo sviluppo della logica (soprattutto influenzando la dialettica stoica) in tre campi:

(a)Elaborarono dei paradossi
(b)Esaminarono le nozioni modali
(c)Esaminarono gli asserti condizionali.

(a)I sette paradossi elaborati da Eubulide sono, così sembra, riconducibili a questi quattro:

IL MENTITORE. Se un uomo dice di mentire, ciò che egli dice è vero o falso?
L'UOMO INCAPPUCCIATO, o L'ELETTRA. Se t afferma di conoscere suo fratello e il fratello di t entra incappucciato nella stanza dov'è t e t non lo riconosce, t conosce o non conosce suo fratello?
L'UOMO CALVO. Quanti capelli deve avere un uomo per poter essere detto calvo?
L'UOMO CORNUTO. Ciò che non hai perso lo hai ancora. Ma non hai perso le corna, quindi hai ancora le corna.

(b)Boezio nel suo commento al De interpretatione di Aristotele fornisce tre insiemi di definizioni per i termini modali. Il primo è attribuito a Diodoro Crono, il secondo a Filone, il terzo agli stoici in genere. Per quanto riguarda Filone e Diodoro, bisogna lasciare aperta la questione riguardante il tipo di entità che, a loro giudizio, possono essere vere, false, necessarie, ecc.

Secondo Diodoro possibile è ciò che o è vero o sarà vero, necessario ciò che è vero e non sarà falso, impossibile ciò che è falso e non sarà vero, non necessario ciò che è falso o sarà falso. Così un asserto vero sul passato sarà necessariamente vero. Inoltre mentre un asserto possibile o non necessario può cambiare il proprio stato modale, una proposizione necessaria o impossibile rimarrà per sempre tale. Diodoro sviluppò anche un argomento di logica modale detto "argomento vittorioso" che coinvolgeva il fatalismo e il determinismo. Egli, pur occupandosi di logica modale, rifiutava la distinzione aristotelica fra potenza e atto.

Diogene Laerzio riporta le definizioni stoiche dei termini modali: "Il possibile è ciò che è suscettibile di essere vero (purchè le circostanze esterne non glielo impediscano). L'impossibile è ciò che non è suscettibile d'essere vero (e.g. "La Terra vola"). Il necessario è ciò che è vero e o non è suscettibile di essere falso o le circostanze glielo impediscono. Il non necessario è ciò che è vero e può essere falso".

(c) I CONDIZIONALI.

Sesto Empirico riporta diverse opinioni circa la natura degli asserti condizionali. Particolarmente interessanti sono le concezioni diodorea e filoniana.
Filone, un discepolo di Diodoro Crono, viene solitamente citato per la sua definizione dell?implicazione materiale:

p q p->q
1 1 1
1 0 0
0 1 1
0 0 1

Secondo Diodoro gli asserti possono essere veri in un momento e falsi in un altro. La sua analisi dei condizionali sembra coincidere con quella di Filone: un condizionale è falso solo se l?antecedente è vero quando il conseguente è falso. I coniugi Kneale osservano che se A e B sono due asserti al passato veri, a patto che siano divenuti veri contemporaneamente, A->B e B->A.

DE INVENTIONE


In questo articolo riassumo il libro I del De Inventione di Cicerone.

L'argomento è la retorica. Cicerone descrive l'articolazione della materia:

"Partes autem aea [rhetoricae], quas plerique dixerunt, inventio, dispositio, elocutio, memoria, pronunciatio. Inventio est excogitatio rerum verarum aut veri similium, quae causam probabile reddant; elocutio est idoneorum verborum [et sententiarum] ad inventionem accomodatio; memoria est firma animi rerum ac verborum ad inventionem perceptio; pronunciatio est ex rerum et verborum dignitate vocis et corporis moderatio". I,9.

Seguono le parti dell'orazione:

"eae partes [orationis] sex esse omnino nobis videntur: exordium, narratio, partitio, confirmatio, reprehensio, conclusio". I, 19.

L'esordio è quella parte dell'orazione che ben dispone l'animo del giudice alla restante esposizione. I, 20.
La narrazione è l'esposizione di fatti veri o supposti come tali. Può riguardare avvenimenti o persone. Se riguarda degli avvenimenti può essere FAVOLA, quando racconta cose non verosimili, STORIA, quando racconta cose vere, FANTASIA quando racconta cose verosimili ma non vere. I, 27.
"Una partizione adeguata rende tutta l'orazione brillante e perspicua ... Due sono le sue parti ... la prima ... pone in evidenza il punto di accordo con gli avversari ... la seconda contiene ... i punti che saranno oggetto della nostra trattazione" I, 31.
"Conferma dicesi quella per mezzo della quale il nostro discorso procura credibilità, autorità, e sostegno alla nostra causa, per via di argomentazioni" I, 34. Gli argomenti usati possono essere sia induttivi sia deduttivi.
"Si dice confutazione quella parte dell'orazione con cui si indebolisce o si sminuisce con la forza delle argomentazioni la conferma degli avversari ... Ogni argomentazione si confuta o non ammettendo un solo oppure più punti di essa oppure ammettendoli ma escludendo che se ne possa trarre una conclusione, oppure dimostrando difettoso in sé il genere stesso di argomentazione, o contrapponendo ad un'argomentazione salda un'altra ugualmente salda o più salda" I, 78 - 79.
"Conclusio [perorazione] est exitus et determinatio totius orationis. Haec habet partes tres: enumerationem, indignationem, conquestionem" I, 98.
"Con la ricapitolazione si condensano in un sol punto tutti gli argomenti già esposti qua e là e si presentano in uno sguardo unitario allo scopo di aiutare la memoria" I, 98. Cicerone raccomanda la varietà: "Potrai ora ricapitolare in prima persona ... ora introdurre un'altra persona o cosa e porre ad essa sulle labbra tutt'intera la ricapitolazione".
"L'invettiva è la parte dell'orazione con cui si riesce ad ingenerare grande odio per una persona oppure un'avversione ugualmente grande per una data azione" I, 100.
Infine "La querimonia è il discorso che concilia la compassione del giudice".

POSSIAMO TROVARE UN SOFTWARE CHE RENDA PENSANTI LE MACCHINE?


in questo articolo cerco di spiegare il cosiddetto argomento della stanza cinese (chinese room argument).

Si tratta di un argomento, o meglio di un esperimento mentale della filosofia contemporanea, teso a dimostrare che non è possibile per una macchina che esegue semplicemente un programma comprendere un linguaggio. L'inventore dell'argomento è J. Searle, filosofo analitico che si è occupato di filosofia del linguaggio, dell'azione e della mente.

Searle non è contrario all'idea che una macchina possa pensare o comprendere un linguaggio. Anzi, ritenendo che gli uomini stessi siano macchine, egli crede che le macchine possano pensare e comprendere il linguaggio. Tuttavia

"per quanto ne sappiamo, sarebbe forse possibile costruire una macchina pensante servendosi di materiali del tutto diversi, per esempio di chip di silicio o di valvole termoioniche. Forse ciò potrebbe rivelarsi impossibile, ma certo non lo sappiamo ancora.

Negli ultimi decenni, tuttavia, il quesito se una macchina possa pensare ha ricevuto un'interpretazione del tutto diversa, anzi è stato sostituito dal quesito seguente: una macchina può pensare semplicemente in virtù del fatto che esegue un programma di calcolatore?" (J. Searle, La mente è un programma? /art/La%20Mente%20%C3%A8%20un%20Programma%20/73.php)

L'argomento della stanza cinese è dunque rivolto contro quelli che S. chiama "i sostenitori dell'AI forte". I sostenitori dell'ipotesi "forte" in Intelligenza Artificiale sostengono che software adatto su hardware adatto sarà in grado di produrre menti artificiali. L'AI forte ci dice che programmando adeguatamente un computer si potranno ottenere non solo computer che giocano a scacchi o fanno i calcoli, ma anche che pensano e che comprendono il linguaggio.

In pratica questi computers sarebbero in grado di superare il test di Turing (è un test ideato da Turing che permetterebbe di distinguere un automa da una mente): riuscire ad essere del tutto indistinguibili, per un osservatore esperto, da una mente naturale fornendo all'esperto tutte le risposte che una mente umana fornirebbe.

Contro questa idea l'argomento di Searle si sviluppa come segue:

Supponiamo che un tizio, che è di madrelingua inglese e ignora il cinese, sia rinchiuso in una stanza con un manuale che insegna a manipolare i simboli del cinese in modo da produrre risposte a partire da domande, ossia un manuale che contiene tutte le regole morfologiche, sintattiche e semantiche del cinese disposte in modo che esse possano essere utilizzate per rispondere appropriatamente a tutti i tipi di domanda in cinese.

Supponiamo che il tizio riceva dall'esterno della stanza dei messaggi in cinese. Questi messaggi sono domande. Egli li manipola consultando il manuale e restituisce all'esterno delle risposte in cinese.

Chi osserva la situazione dall'esterno della stanza deve ritenere che all'interno vi sia qualcuno che sa rispondere in cinese alle domande, e che quindi comprende le domande in cinese. Tuttavia, sostiene Searle, né la stanza nel suo complesso né il tizio al suo interno comprendono il cinese ...

Ciò significa che una macchina che esegua semplicemente un programma morfologico-sintattico-semantico non potrà mai arrivare a comprendere il linguaggio.

LINKS


In questo articolo vorrei segnalare ai lettori alcuni links a siti filosofici.

GENERALE

Guide to Philosophy on the Internet by Peter Suber
http://www.earlham.edu/~peters/philinks.htm

Discussioni filosofiche in rete
http://www.filosofia.unina.it/risorse/liste.html

Episteme Links, Philosophy Resources on the Internet
http://www.epistemelinks.com/Main/MainTopi.aspx

System of life institute's, philosophy links
http://soli.com/philo.htm

Philosophy resources
http://www.erraticimpact.com/

Filosofi e scienziati
http://www.ildiogene.it/EncyPages/Ency=0scienziati-filosofi.html

BIBLIOTECHE ON LINE DI FILOSOFIA

Testi di filosofia
One of the Largest and Most Visited Sources of Philosophical Texts on the Internet.
http://evans-experientialism.freewebspace.com/study.htm

A Miniature Library of Philosophy
http://www.marxists.org/reference/subject/philosophy/index.htm

Database of over 2000 links to electronic texts by famous philosophers throughout history
http://www.epistemelinks.com/Main/MainText.aspx

Testi filosofici sul web, links a biblioteche on line e testi elettronici
http://lgxserver.uniba.it/lei/testiita.htm

Sites with online papers on philosophy and related subjects
http://members.aol.com/kiekeben/links2.html

People with online papers in philosophy Compiled by David Chalmers
http://consc.net/people.html

RIVISTE

Mind on line
http://mind.oxfordjournals.org/archive/

Filosofia.it
http://www.filosofia.it/#

CogPrints, an electronic archive for papers in any area of Psychology, Neuroscience, and Linguistics, (and many areas of Computer Science, Philosophy, Biology, Medicine, Anthropology)
http://cogprints.org/

Human Nature review
http://www.human-nature.com/index.html

Psyche
http://psyche.cs.monash.edu.au/

Journal of Consciousness Studies
http://www.imprint.co.uk/jcs.html

Mathesis Universalis, review on Logic, Mind and Complex Systems
http://www.calculemus.org/MathUniversalis/

De Musica, filosofia della musica
http://users.unimi.it/~gpiana/demus.htm

DIZIONARI FILOSOFICI

Internet Encyclopedia of Philosophy
http://www.iep.utm.edu/

Stanford Enciclopedia of Philosophy
http://plato.stanford.edu/contents.html

Foldop, dizionario filosofico della Swift
http://www.swif.it/foldop/

Dictionary of Philosophy of mind
http://www.artsci.wustl.edu/~philos/MindDict/index.html

Glossary of philosophy of mind.oxfordjournals.org
http://www.cogsci.ed.ac.uk/~ddb/teaching/glossary/index.html

Meta-Encyclopedia of Philosophy
http://www.ditext.com/encyc/frame.html

LOGICA E FILOSOFIA DEL LINGUAGGIO

La pagina raccoglie link a testi on-line di autori generalmente trattati dai manuali di filosofia del linguaggio
http://lgxserver.uniba.it/lei/filling/fdltes.htm

Guida dello Swift alla logica in rete
http://lgxserver.uniba.it/lei/logica/homelogi.htm

Logica e conoscenza
http://www.dif.unige.it/epi/hpl.htm

Glossary of first-order logic (Suber)
http://www.earlham.edu/~peters/courses/logsys/glossary.htm

EPISTEMOLOGIA

Filosofia della scienza in Italia
http://lgxserver.uniba.it/lei/universita'/scienza.htm

Swif, Università di Bari, laboratorio di epistemologia informatica
http://www.swif.it/

Philosophy of Science Resources
http://pegasus.cc.ucf.edu/~janzb/science/

FILOSOFIA DELLA MENTE

Pre-History of Cognitive Science Web--an annoted bibliography of models of human cognition from the Seventeenth through Nineteenth centuries
http://www.rc.umd.edu/cstahmer/cogsci/index.html

Philosophy of mind, organizations and events
http://www.duke.edu/philosophy/mind.html

Master index to David Chalmers' Website
http://consc.net/master.html

D. Chalmers, Mind and Modality
http://consc.net/class/phil596b.html

Center for Cognitive Studies at Tufts University
http://ase.tufts.edu/cogstud/

Sito di scienze cognitive di Piero Scaruffi
http://www.thymos.com/icogn.html

Association for the scientific study of consciousness
http://assc.caltech.edu/index.htm

La Mente è un Programma? Di John R. Searle
http://www.neuroingegneria.com/art/La%20Mente%20%C3%A8%20un%20Programma%20/73.php

Può una macchina pensare? di Paul e Patricia Churchland
http://www.estropico.com/id214.htm

Magazine on line di psicologia, neuroscienze, filosofia della mente
http://www.neuroingegneria.com/

ETICA

Ethics Updates is designed primarily to be used by ethics instructors and their students. It is intended to provide updates on current literature, both popular and professional, that relates to ethics.
http://ethics.acusd.edu/index.asp

IMPLICAZIONE


In questo articolo ci occuperemo dell'implicazione come relazione fra enunciati. Occorre specificare che nell'ambito della presente discussione si accetta il principio di bivalenza (ogni enunciato è o vero o falso).

Cosa significa asserire un'implicazione?. Asserire che A->B (A è detto l'"antecedente" dell'implicazione, mentre B è detto il "conseguente" dell'implicazione) significa asserire che, qualora A sia vero, anche B lo sia.

Abbiamo pertanto la seguente tavola di verità (frammentaria e in cui 1 sta per "vero" e 0 sta per "falso") su cui tutti sono d'accordo:

A B A->B
1 1 1
1 0 0
0 1 ?
0 0 ?

Come si vede dalla tavola di verità, si pone il problema, risalente all'antichità, di stabilire cosa significhi asserire che A->B quando A è falso. Qualche filosofo antico propose di considerare gli enunciati con antecedente falso come pseudo-enunciati privi di significato, mentre oggi la più parte dei logici è concorde nel sostenere che si tratti di enunciati veri (secondo la massima medievale per la quale "dal falso segue qualsiasi cosa"). Questa caratterizzazione risale al filosofo greco antico Filone di Megara.

Per risolvere la questione nell'ambito di una logica bivalente, basta considerare con attenzione il valore semantico delle uniche tre definizioni vero-funzionali di f-> alternative alla definizione classica (ma aventi in comune con essa le corrispondenze f->(1,1)=1 e f->(1,0)=0):

I f->(0,0)=0; f->(0,1)=0
II f->(0,0)=0; f->(0,1)=1
III f->(0,0)=1; f->(0,1)=0

Dalle tavole di verità si può vedere che la scelta di I comporta che f-> e la congiunzione fra enunciati siano la stessa funzione, la scelta di III comporta che f-> e la disgiunzione siano la stessa funzione e la scelta di II comporta che f-> sia una funzione i (x, y)=y (inutile notare che A->B non equivale ad asserire sempre il valore di verità del conseguente).

L'unica scelta adeguata, nel contesto di una discussione vero-funzionale del problema, sembra essere pertanto quella che assegna ad ogni implicazione con antecedente falso, indipendentemente dal valore di verità del conseguente, il valore di verità 1. È forse utile notare che, nonostante ciò sembri intuitivamente strano, come dimostrato da enunciati (ricorrenti spesso in veste esemplificativa nei testi di logica) del tipo "se 1=2, allora Parigi è la capitale della Francia", non scegliere in questo modo renderebbe inspiegabile la verità di enunciati come "Se il circolo quadrato ha lato t, allora la diagonale del circolo quadrato ha lunghezza t radice quadrata di 2".

Così la tavola di verità dell'implicazione è la seguente:

A B A->B
1 1 1
1 0 0
0 1 1
0 0 1

PATER NOSTER


Nella Nova Vulgata Bibliorum Sacrorum Editio, consultabile in rete alla pagina http://www.vatican.va/archive/bible/nova_vulgata/documents/nova-vulgata_index_lt.html, nel Vangelo di Matteo, per buona fortuna, ritroviamo il Padre Nostro, al cap. 6:

9 Pater noster, qui es in caelis,sanctificetur nomen tuum,
10 adveniat regnum tuum, fiat voluntas tua, sicut in caelo, et in terra.
11 Panem nostrum supersubstantialem da nobis hodie;
12 et dimitte nobis debita nostra, sicut et nos dimittimus debitoribus nostris;
13 et ne inducas nos in tentationem, sed libera nos a Malo.

Come potete notare, in 11 la parola cotidianum della precedente Vulgata e la parola quotidiano dell'equivalente italiano è sostituita dalla parola "supersubstantialem".

Cristo è diventato filosofo!

D'ora in poi pregheremo chiedendo al Signore il nostro pane spirituale ultraterreno e immateriale.

Per quanto concerne il pane substantialem, invece, faremo così:

26 Respicite volatilia caeli, quoniam non serunt neque metunt neque congregant in horrea, et Pater vester caelestis pascit illa. Nonne vos magis pluris estis illis?

ANALITICO E SINTETICO


Consideriamo i seguenti enunciati:

I

2=2
Tutti gli scapoli non sono sposati
Se x ha una velocità, allora x ha pure una posizione nello spazio
Se x è colorato, è un oggetto esteso

II

Tuo marito si è laureato in ingegneria
Mozart è meglio dei Beattles
I maiali non volano
Tutti i corvi sono neri

La distinzione fra giudizi analitici (gruppo I) e giudizi sintetici (gruppo II) risale a Kant. Di essa si sono appropriati, nel '900, i neopositivisti logici, ponendola al centro delle loro discussioni epistemologiche e semantiche. In seguito sono state avanzate dure critiche alla distinzione, sopratutto ad opera di W.V.O. Quine (nell'articolo Due dogmi dell'empirismo, 1951).

Prima di Kant Locke aveva detto, a proposito degli enunciati che poi saranno detti analitici, trattarsi di cose "frivole". Secondo Locke i giudizi analitici sorgono quando "a part of the complex idea is predicated of the name of a whole; a part of the definition, of the word defined".

Ma leggiamo la distinzione così come viene fatta nella Critica della Ragion Pura:

"In all judgments in which the relation of a subject to the predicate is thought (if I only consider affirmative judgments, since the application to negative ones is easy) this relation is possible in two different ways. Either the predicate B belongs to the subject A as something that is (covertly) contained in this concept A; or B lies entirely outside the concept A, though to be sure it stands in connection with it. In the first case, I call the judgment analytic, in the second synthetic. (A:6-7)"

L'esempio di enunciato analitico fornito da Kant è

"Ogni oggetto è esteso"

Notiamo che la caratterizzazione kantiana è valida solo per gli enunciati di forma soggetto-predicato. Vedremo più avanti come allargare la definizione in modo da comprendere in essa anche enunciati di altra forma. Infine non possiamo non mettere in evidenza la poca chiarezza della nozione di "Essere un predicato che appartiene ad un soggetto in quanto contenuto in esso".

Kant provò a uscire dalla metafora del contenimento in due modi. In primo luogo sostenne che per accertarmi del fatto che un enunciato analitico è vero "I need only to analyze the concept, i.e., become conscious of the manifold that I always think in it, in order to encounter this predicate therein. (A7)". In secondo luogo Kant osserva che "I merely draw out the predicate in accordance with the principle of contradiction, and can thereby at the same time become conscious of the necessity of the judgment. (A7)". Questa seconda via gli fu probabilmente suggerita dalla filosofia di Leibniz.

Ad ogni modo è noto come Kant affianchi alla distinzione analitico-sintetico la distinzione fra a priori e a posteriori. A priori sta per "a priori di ogni esperienza" e si attaglia a quegli enunciati la conoscenza della cui verità è ottenuta con la sola ragione senza l'aiuto dell'esperienza. A posteriori sono i giudizi che non sono a priori.

Avremo così giudizi analitici a priori e analitici a posteriori (impossibili), sintetici a priori e sintetici a posteriori.

Nell'ambito della scienza, sembra sostenere Kant, rivestono una particolare importanza i giudizi sintetici a priori, ossia quelli che comunicano nuova informazione pur non essendo basati sull'esperienza. Questa posizione fu giudicata errata dagli empiristi logici, i quali negarono l'esistenza dei giudizi sintetici a priori (non si ottiene nuova conoscenza se non con il ricorso all'esperienza).

Esempi di enunciati che per i seguaci di Kant sono sintetici a priori, esempi tratti dalla logica, dalla matematica, dalla geometria e dalla fisica, sono:

L'identità è una relazione transitiva
7+5=12
La linea più corta fra due punti è la retta
Ogni evento ha una causa.

Per un neopositivisti, essi sarebbero enunciati analitici. Inolte per gli empiristi logici tutti i giudizi veri a priori sono analitici. Conseguentemente la matematica e la logica sono costituiti da enunciati analitici. Tutto sommato non sembra avere torto Quine quando osserva che la distinzione è piuttosto arbitraria.

Concludo fornendo tre caratterizzazioni alternative di cosa si può intendere per giudizio analitico:

I

Un giudizio è analitico se è vero solo in virtù del significato dei suoi termini

II

Gli enunciati analitici sono analitici in virtà della loro forma logica. Ad esempio sono basati sulla nozione di sinonimia, hanno un predicato che è compreso nella definizione del soggetto, ecc.

III

Analitici sono quegli enunciati che, se negati, generano una contraddizione. Così tutte le tautologie sarebbero giudizi analitici.

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